IBM presenta il processore POWER10

IBM non produce più semiconduIBM Power10ttori, ma si affida a stabilimenti di terze parti per costruire i suoi chip server POWER. La società ha rivelato lunedì il suo ultimo processore POWER, mirato direttamente al cloud ibrido e all’intelligenza artificiale.

Prestazioni massicce ed efficienza

Il processore POWER10 di IBM non sarà disponibile nei sistemi fino alla seconda metà del 2021, ma quando arriverà fornirà miglioramenti sostanziali rispetto al precedente processore POWER9. IBM ha utilizzato Samsung per produrre i chip utilizzando un processo a 7 nm. I processori POWER9, lanciati alla fine del 2017, utilizzavano un processo di produzione a 14 nm.

Il passaggio a un processo a 7 nm aumenterà l’efficienza dei chip POWER10 di IBM. L’azienda si aspetta che POWER10 fornisca un miglioramento fino a tre volte nell’efficienza energetica per socket, consentendo ai sistemi costruiti con il chip di supportare il triplo di utenti, carichi di lavoro e container per carichi di lavoro cloud ibridi.

IBM ha scommesso molto sul cloud computing ibrido, acquisendo Red Hat lo scorso anno con un accordo da 34 miliardi di dollari. Il chip POWER10 è ottimizzato per la piattaforma OpenShift di Red Hat e partecipa alla strategia di IBM di vendere ai suoi clienti esistenti i prodotti Red Hat. IBM ha affermato che per ogni 5% della sua base di grandi clienti con una spesa Red Hat minima o nulla, c’è un’opportunità di guadagno annuale di 1 miliardo di dollari per convincere quei clienti ad acquistare nell’ecosistema Red Hat.

“Con il nostro obiettivo dichiarato di rendere Red Hat OpenShift la scelta predefinita per il cloud ibrido, IBM POWER10 porta la capacità basata su hardware e miglioramenti della sicurezza per i container a livello di infrastruttura IT”, ha affermato Stephen Leonard, GM di IBM Cognitive Systems, nel comunicato stampa annunciando il chip POWER10.

L’intelligenza artificiale è un altro tipo di carico di lavoro che IBM sta prendendo di mira con il suo chip POWER10. Il chip include hardware specializzato per accelerare l’inferenza AI, con IBM che promette grandi miglioramenti nelle prestazioni AI rispetto al chip POWER9. POWER10 fornirà un salto da dieci a venti volte nelle prestazioni di inferenza dell’IA, a seconda del tipo di calcolo.

La sicurezza è anche un punto di forza del chip POWER10. Il POWER10 ha quattro volte più hardware dedicato alla crittografia rispetto al POWER9, fornendo prestazioni di crittografia significativamente più veloci.


Una delle prime 5 società di server

Mentre i server costruiti utilizzando processori x86 di Intel o sempre più AMD dominano il mercato, IBM ha ancora una presenza importante. IBM era il no. 5 produttore di server nel primo trimestre del 2020, generando quasi $ 900 milioni di entrate e rivendicando circa il 5% del mercato, secondo IDC. Questi numeri non includono le vendite di una joint venture con la società cinese Inspur per la produzione e la vendita di sistemi POWER. Quella joint venture ha generato oltre $ 1,3 miliardi di vendite nel primo trimestre, rivendicando il 7,1% del mercato.

I sistemi POWER di IBM rappresentano una minoranza del mercato dei server, ma la base di utenti POWER dell’azienda offre l’opportunità di aumentare l’adozione del software Red Hat e la base di utenti Red Hat dell’azienda offre l’opportunità di vendere a questi clienti i sistemi POWER.

La pandemia sta probabilmente danneggiando le vendite dell’hardware IBM poiché i budget IT vengono ridotti. Quel dolore durerà un po ‘, ma le cose potrebbero essere vicine alla normalità entro la seconda metà del 2021, quando i sistemi POWER10 saranno disponibili. Mentre IBM probabilmente non riuscirà a far crescere le sue entrate quest’anno a causa della pandemia, il 2021 potrebbe essere una storia diversa.

Articolo originale su Nasdaq

IRIX Interactive Desktop ritorna su Linux

Quelli di voi che bramano l’esperienza di utilizzare una workstation grafica vintage degli anni 90 avranno una bella giornata: uno sviluppatore di nome Eric Masson ha resuscitato l’IRIX Interactive Desktop che girava sulle workstation Silicon Graphics e adesso lo offre come alternativa desktop su Linux. E’ stata denominata Maxx Interactive Desktop.

La nuova release è disegnata per girare su Fedora 25 a 64-bit, ma sulla pagina Facebook del progetto sono stati documentati dei successi su altre tipologie di Linux, e il supporto ad altre distribuzioni è sulla to-do list di Masson.

Non si tratta di una semplice operazione nostalgia. E’ stato creato un SDK su Eclipse, e sono state promesse feature come CPU affinity, basso foot-print di memoria, affidabilità al livello delle moderne GUI di classe enterprise. Viene anche offerta una “Professional Edition” dotata di supporto.

Virtualizzazione nella PA

Mi permetto un articolo su un argomento di interesse “personale“, anche se comunque legato al mondo Unix e Linux in particolare, ossia la presentazione ufficiale del progetto “Virtualizza ME“, avvenuta lo scorso venerdì 18 febbraio presso il Comune di Messina.

Si tratta di un progetto al momento unico in Italia, che ho seguito in prima persona per conto dell’azienda in cui lavoro, e che mira alla trasformazione dell’infrastruttura tradizionale del Comune di Messina, costituita da alcune centinaia di pc installati con Windows e i suoi vari applicativi locali, in un sistema centralizzato in cui il desktop dei singoli utenti gira come macchina virtuale all’interno di alcuni potenti server e viene reso disponibile agli utenti per tramite di client grafici che richiedono pochissime risorse e possono essere eseguiti sia sui precedenti pc opportunamente riconfigurati che su thinclient a basso costo.

Ne parlo in questa sede perchè ovviamente tutta l’infrastruttura si basa su Unix e in particolare su Linux, ed è questo a rendere unico il progetto. Sia i server centrali che la macchina virtuale desktop che i client finali utilizzano Linux, in particolare Ubuntu Server, Ubuntu Desktop 10.04 e Ubuntu LTSP – cosa che non mi rende particolarmente felice, data la mia avversione personale per Ubuntu, ma in ogni caso è pur sempre Linux.

L’infrastruttura hardware è costituita da un sistema IBM BladeCenter E dotato di 3 lame HS22, ciascuna con 2 processori Xeon X5650 2.66Ghz a sei core, 28Gb 32Gb di Ram. Lo spazio disco è fornito da uno storage IBM DS3400, doppio controller RAID5 con 12 dischi SAS da 450Gb per un totale di 3,5 Terabytes e collegato in fiber channel allo chassis. Sulle tre lame è installata Ubuntu Server, e gli host condividono tra loro lo spazio dello storage grazie al file system OCFS2, che consente il montaggio contemporaneo di una stessa partizione tra più macchine, gestendo il locking dei file in modo che non si realizzino conflitti di accesso.

Verde VDI console

Il software di virtualizzazione vero e proprio è VERDE VDI della Virtual Bridges. VERDE è un prodotto commerciale ma si basa integralmente su tecnologie opensource già facenti parte di Linux. Infatti la virtualizzazione vera e propria avviene sfruttando KVM, che è integrato nel kernel. Questo viene corredato di appositi strumenti di gestione che permettono di creare e manutenere le immagini virtuali che poi vengono utilizzate dagli utenti. Il cuore del sistema è la filosofia della Gold Image, ossia una immagine congelata del sistema desktop, che viene creata dall’amministratore direttamente da una installazione standard del sistema operativo desktop così come avverrebbe su una macchina fisica, e poi personalizzata con tutti gli applicativi e le impostazioni necessarie. L’immagine viene freezata in uno stato immutabile da parte degli utenti. Il sistema provvede automaticamente a scindere i dati personali che l’utente crea nella fase di utilizzo (cartelle documenti, file, bookmark del browser, ecc.) e le memorizza in uno spazio separato rispetto a quello della Gold Image, anche se l’utente continua a vedere un tutt’uno esattamente come se il tutto risiedesse sul suo pc locale. Questo fa sì che l’utente non possa materialmente creare nessuna alterazione o danno alla macchina Gold Image e possa intervenire solo sui propri dati. La cosa è particolarmente rilevante ad esempio per quanto riguarda i virus e i trojan horse, i quali anche se dovessero riuscire a installarsi nella macchina virtuale, verrebbero comunque spazzati via al successivo riavvio. Bisogna infatti considerare che il sistema VERDE VDI può lavorare anche con desktop virtualizzati Windows, dove i problemi relativi a virus e danneggiamenti dei file di sistema sono senz’altro più sentiti.

Un altro elemento particolarmente innovativo in questo progetto è l’uso del sistema Ubuntu LTSP in Etherboot per i pc tradizionali. Molti progetti di Desktop Virtualization partono dall’idea che tutti i pc preesistenti vengano buttati via e siano sostituiti da thinclient. Questo rappresenta uno spreco di hardware immenso, genera problemi di smaltimento rifiuti e richiede investimenti per l’acquisto dei nuovi apparati. Noi invece abbiamo preferito trovare un metodo per riciclare l’hardware precedente, che sebbene sia lento e obsoleto per l’utilizzo di Windows è invece più che adeguato a fungere da client di un sistema VDI. E’ stata quindi realizzata una infrastruttura di Etherboot, ossia di avvio delle macchine tramite rete, senza l’utilizzo dei dischi fissi interni, che possono anche essere rimossi dalle macchine. Un servizio centrale di DHCP all’accensione di ciascuna macchina assegna automaticamente un indirizzo di rete e trasmette il sistema operativo, un Linux ridotto ai minimi termini contenente il client di collegamento al VDI. In questo modo il Comune non è obbligato a sbarazzarsi di tutti i pc precedenti ma li può riutilizzare fino alla loro “morte naturale“, e preoccuparsi solo allora di sostituirli con dei thinclient. Inoltre anche in questo caso non è possibile alcun danneggiamento o modifica da parte dell’utente finale, in quanto il tutto risiede su un server e viene trasmesso al pc al momento dell’avvio, ogni volta nel medesimo stato in cui l’amministratore del sistema lo ha preconfigurato.

Le ragioni d’essere di un progetto del genere sono essenzialmente due:

  • eliminare la necessità di continui acquisti di nuovi pc da fornire agli utenti finali, causati dall’aumento di risorse richieste dai sistemi operativi locali e dalla naturale obsolescenza dei sistemi.
  • ridurre le attività di manutenzione delle singole postazioni da parte del personale

Con il desktop virtualizzato, l’unico hardware da manutenere e potenziare è quello dei server centrali, mentre invece le postazioni utente devono essere semplicemente in grado di poter visualizzare il desktop. Anche dal punto di vista della manutenzione, tutte le operazioni di aggiornamento e installazione software, nonchè di gestione e salvataggio dati personali, avvengono sui server centrali. Gli unici eventi che possono accadere a livello di postazione personale sono quelli relativi ai guasti hardware, che si risolvono con la semplice sostituzione del terminale, che non ha nessun effetto sulle personalizzazioni dell’utente.

In questo modo abbiamo dimostrato che un sapiente uso delle tecnologie opensource a basso costo e delle filosofie Linux e UNIX può realizzare progetti di impatto sull’efficienza e sulla riduzione dei costi, applicabili sia in ambito privato che pubblico.

Linux compie 20 anni!

In occasione del ventennale di Linux, varie iniziative e contributi sono stati resi disponibili sulla rete, sia da parte delle comunità e dei singoli appassionati, che da parte degli organismi ufficiali.

In questo articolo voglio riportare il video ufficiale da parte della Linux Foundation, che coglie l’occasione per fare una breve cronaca della storia di Linux.

I'll be celebrating 20 years of Linux with
The Linux Foundation!

E Vim fu…

ArsTechnica ha voluto ricordare l’appena trascorso 2 novembre 2011 come 20ennale della nascita di Vim, ovvero “vi improved“, la versione riveduta, corretta e ampliata di vi, l’editor che Bill Joy scrisse ai tempi di 2BSD nel 1978 e che diventò l’editor standard di tutti i sistemi UNIX.

L’evento è certamente degno di essere celebrato, ma è interessante un’osservazione fatta da Tim O’Reilly della O’Reilly Media – l’arci-nota casa editrice che da molti anni ormai pubblica manualistica e documentazione tecnica di tutti i tipi su sistemi operativi, hardware, software e quanto altro esiste di “informatico”. Su Google+, Tim O’Reilly ha commentato l’articolo di ArsTechnica dicendo che ha subito pensato a quanto corta sia la memoria, dato che, più che 20 anni, gli veniva naturale pensare che Vim ne avesse oltre 35, considerato che Vim non è altro che una prosecuzione di vi. L’articolo cita la storia di vi, ma sembra considerarlo come un antico progenitore piuttosto che l’esatto archetipo alla base di Vim.

Secondo O’Reilly, questo tipo di “revisionismo storico” è lo stesso che si riscontra quando si parla di Linux e Unix. Da ogni punto di vista pratico, Linux è Unix, ossia il sistema progettato e disegnato da Ken Thompson e Dennis Ritchie, la cui “architettura di partecipazione” portò alla nascita del primo sistema operativo sviluppato in maniera collaborativa, di cui Linux è una implementazione. Linus Torvalds ha svolto un magnifico lavoro nel portare Unix al suo attuale livello di successo, ma non bisogna dimenticare le persone che lo hanno originariamente disegnato.

Tim O’Reilly pone l’accento sul fatto che è importante distinguere tra software che è discendente di altro software, come ad esempio Unix è un discentente di Multics, e Java è un discendente di C, e software che invece è letteralmente una versione (sebbene una versione accresciuta) di un prodotto precedente.

In conclusione quindi O’Reilly vuole senz’altro celebrare l’aggiornamento che Bram Moolenaar ha effettuato su vi, in qualità di autore di Vim, ma vuole celebrare ancor più profondamente la creazione originale di Bill Joy.

Articolo originale su ArsTechnica – Commento di Tim O’Reilly su Google+

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